Il presidente del CDA non può essere un dipendente della società

Stretta della Cassazione: la figura di presidente del CDA è incompatibile con l'attività di lavoro subordinato, salvo che non siano accertate precise circostanze.

Il presidente del CDA non può essere un dipendente della società

L’ amministratore di una società di capitali non può essere al contempo un dipendente della stessa, salvo che non sia accertato in concreto lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita, con l'assoggettamento ad effettivo potere di supremazia gerarchica e disciplinare. In mancanza di siffatto assoggettamento, l'osservanza di un determinato orario di lavoro e la percezione di una regolare retribuzione non sono sufficienti da sole a far ritenere la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.

Ad affermarlo è stata la Corte di Cassazione in una controversia riguardante il presidente di un CDA che era anche dipendente della medesima società (Cass. 23 novembre 2021 n. 36362).

Secondo i giudici, la qualità di socio, anche "maggioritario", di una società di capitali non è di per sé di ostacolo alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra socio e società, allorché possa in concreto ravvisarsi il vincolo di subordinazione, almeno potenziale, tra il socio medesimo e l'organo societario preposto all'amministrazione, vincolo che in generale è da escludere unicamente nelle ipotesi di socio "amministratore unico", o di socio "unico azionista" o di "socio sovrano".

Poiché nel caso in esame era stato accertato che il soggetto ricopriva l'incarico di presidente del CDA della società in assenza delle caratteristiche proprie di tale tipologia di rapporto (potere direttivo, gerarchico e disciplinare), va del tutto esclusa, limitatamente alla sua posizione, la possibilità di svolgere un'attività di lavoro subordinato in favore della stessa società.

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