Sindaci, negato il compenso per l'attività nella società fallita

Secondo la Cassazione è legittimo non ammettere al passivo i compensi del sindaco che non ha svolto correttamente i compiti previsti dalla sua carica.

Sindaci, negato il compenso per l'attività nella società fallita

Nell’ambito di un fallimento, è legittimo escludere dal passivo i compensi richiesti dal sindaco che non ha svolto correttamente i compiti previsti dalla sua carica. In tali ipotesi, il sindaco conserva la facoltà di provare, invece, di avere esattamente adempiuto ai propri doveri.

È quanto affermato dalla Cassazione (Cass. 7 settembre 2021 n. 24064) nei confronti di un sindaco di una società ammessa al concordato preventivo con continuità e poi dichiarata fallita, ritenuto responsabile della tenuta irregolare delle scritture contabili, della non corretta redazione del bilancio, dell'omissione di ogni attività di sollecito a rimediare (tutte irregolarità, peraltro, sottoposte dal fallimento all'assemblea).

Secondo i giudici, neppure il professionista, cui sia stato negato a causa di carenze nella dovuta diligenza, il compenso per la redazione della relazione di accompagnamento alla proposta di concordato preventivo (art. 161 c. 3 L.Fall.), può invocare, a fondamento del proprio credito, l'ammissione del debitore alla procedura concordataria, atteso che il decreto di apertura del concordato preventivo emesso dal Tribunale non costituisce un apprezzamento circa l'esattezza dell'adempimento del professionista, potendo la valutazione essere, in seguito, smentita dal medesimo Tribunale in sede di procedura fallimentare, all'esito di un più approfondito controllo da parte del commissario giudiziale.

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